Stepchild adoption

Negli ultimi anni la modalità più diffusa con cui le coppie omogenitoriali sono riuscite a garantire tutela giuridica alle/ai loro bambine/i è stata sicuramente la stepchild adoption (o adozione del figlio del partner). Questo istituto non è una novità legislativa, né è una prerogativa delle famiglie omogenitoriali. Anzi è vero proprio il contrario.

La stepchild adoption infatti è stata introdotta, per le coppie eterosessuali, fin dal 1983 all’interno della legge sulle adozioni (legge 184), permettendo l’adozione del figlio del coniuge (con il consenso di quest’ultimo) e nell’interesse del minore (che deve essere sentito se ha almeno 12 anni e dare il suo consenso se maggiore di 14 anni): nella legge si parla di “adozione in casi particolari” (art. 44).

Il riconoscimento non avviene in modo automatico con la semplice richiesta del genitore adottante e il consenso del genitore legale, ma bisogna attivare un procedimento presso il Tribunale per i minorenni di competenza attraverso un ricorso per adozione. Il procedimento deve accertare il legame esistente con l’adottato nonché l’idoneità affettiva ed economica, e la capacità educativa e genitoriale del richiedente. La stepchild adoption, così come regolata dalla lettera b art. 44 della legge 184/1983, era riservata alle sole coppie sposate finché a partire dal 2007 le Corti italiane non hanno esteso tale possibilità anche ai conviventi eterosessuali nell’interesse dei minori coinvolti. 
Appare dunque evidente come, appunto nell’interesse dei minori, non ci fosse alcun motivo per non estenderla anche all’interno delle famiglie omogenitoriali. A questa soluzione è arrivato, con una serie di sentenze tutte a firma dell’ex Presidente dott.ssa Melita Cavallo (la prima del luglio 2014  e le successive dal 2015 in poi) il Tribunale per i minorenni di Roma, prevedendo la possibilità di stepchild adoption anche all’interno di coppie omosessuali in base ad un principio di non discriminazione e nell’interesse superiore del minore di vedere riconosciuta, anche legalmente, una figura genitoriale che già è parte della propria vita. La norma utilizzata dal Tribunale minorile romano non è stata la stessa riservata alle coppie eterosessuali ma si è ritenuto di accogliere i ricorsi in base alla lettera d articolo 44 della legge 184/1983, ovvero per le ipotesi residuali di adozioni in casi particolari, non regolate in modo dettagliato.

La sentenza del luglio 2014 sul caso esaminato dalla Cassazione, è stata poi confermata anche dalla Corte di Appello di Roma nel dicembre 2015 e poi dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n.12962/2016. Sono seguite sentenze anche di numerosi altri Tribunali: tra tutte vanno certamente ricordate le numerose e innovative sentenze del Tribunale per i minorenni di Bologna sotto la presidenza del dott. Giuseppe Spadaro (si veda oltre).

In coda va detta una cosa molto importante: a differenza della c.d. adozione piena e legittimante, l’adozione in casi particolari e dunque la stepchild adoption è “semplice” e non estenderebbe, ad esempio, il legame giuridico con i familiari dell’adottante (quali nonni, zii etc…). Il condizionale però è d’obbligo perché secondo molti commentatori, la riforma dell’art. 74 del codice civile, avvenuta con la legge 219 del 2012, permetterebbe un’interpretazione diversa ed estensiva dei vincoli parentali: così ha interpretato per primo il Tribunale per i minorenni di Bologna sul legame di fratellanza e successivamente, addirittura, il Tribunale per i minorenni di Venezia ha inteso l’estensione del legame con tutto il ramo parentale dell’adottante.

Al di là del dovere affrontare un lungo iter di adozione e di quanto appena detto sull’estensione, non certa, dei legami parentali con l’adottante, va comunque detto che di contro la stepchild adoption si chiude con una sentenza che, una volta passata in giudicato e divenuta definitiva, non può essere più impugnata! 

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